Un esperto è un uomo o una donna che ha deciso di raggiungere l'eccellenza in un campo limitato, a scapito di uno sviluppo equilibrato; ha deciso di sottomettersi a degli standards che lo limitano sotto molti aspetti, ivi compresi il suo stile nello scrivere e le strutture del suo linguaggio, ed è pronto a condurre la maggior parte della sua esistenza da sveglio secondo questi standards (ma in questo caso è probabile che anche i suoi sogni saranno dominati da questi standards). Non è contrario a spingersi di tanto in tanto in altri campi, a ascoltare la musica moderna, a indossare vestiti alla moda (anche se giacca e cravatta sembrano essere la sua uniforme preferita, in questo paese come all’estero) oppure a sedurre i suoi allievi; tuttavia queste attività sono aberrazioni della sua vita privata e non hanno nulla a che fare con la sua attività di esperto. La passione per Mozart o per Hair non renderà più melodiosa la sua fisica, né le darà più ritmo; d'altra parte una relazione non renderà meno incolore la sua chimica.

Questa separazione delle sfere d’azione comporta conseguenze molto spiacevoli: non solo le materie particolari vengono private di quegli ingredienti che rendono la vita umana piacevo- le e degna di essere vissuta, ma questi stessi elementi sono impoveriti, le emozioni diventano sterili e superficiali, mentre il pensiero stesso diventa freddo e disumano.</mark> In realtà è la vita privata a soffrire di questa situazione più che non le capacità ufficiali. Ogni aspetto del professionalismo ha i suoi guardiani; il più piccolo mutamento, o la più piccola min accia di mutamento, vengono esaminati, trasmessi; sono diramati avvertimenti e tutta la macchina della repressione si mette in moto per ristabilire lo status quo. Chi si preoccupa della qualità delle nostre emozioni? Chi bada a quelle parti del nostro linguaggio che dovrebbero avvicinare le persone, alle quali dovremmo offrire conforto, comprensione, e forse un po’ di critica personale e di incoraggiamento? Nessuno fa questo e la conseguenza è che il professionalismo si instaura anche qui. Ma vorrei dare qualche esempio. Nel 1610 Galileo diede il primo resoconto della sua invenzione del cannocchiale e delle osservazioni che aveva fatto con esso. Si trattava di un avvenimento scientifico della massima rilevanza, molto più importante di tutto ciò che siamo riusciti a conquistare nel nostro megalomane XX secolo: non soltanto veniva introdotto uno strumento nuovo e molto misterioso nel mondo colto (e di questo mondo si trattava, perché il saggio venne scritto in latino), ma questo strumento venne subì to adibito a un uso del tutto insolito, cioè venne puntato verso il cielo e i risultati, del tutto sorprendenti, sembrarono suffragare definitivamente la nuova teoria che Copernico aveva formulato circa 50 anni prima e che era ben lungi dall'essere generalmente accettata. Come introduce l'argomento Galileo? Sentiamo. «Circa dieci mesi fa giunse alle mie orecchie la notizia che un tale olandese aveva costruito un telescopio per mezzo del quale gli oggetti visibili, anche se molto distanti dall'occhio dell'osservatore, potevano distintamente vedersi, come da vicino. Di questo effetto veramente notevole venivano riportate parecchie esperienze, alle quali alcuni prestavano fiducia, altri la negavano. Pochi giorni più tardi la notizia mi venne riconfermata in una lettera di un nobil e francese di Parigi, Jacquels Bedovere, il che mi spinse a applicarmi con tutto me stesso alla ricerca dei mezzi coi quali avrei potuto giungere all'invenzione di uno strumento simile... » e così via. Iniziamo con una storia personale, e molto affascinante, che ci por- ta lentamente alle scoperte fatte e anche queste ultime vengono raccontate con lo stesso stile, chiaro, concreto e pittoresco: «Esiste un’altra cosa » scrive Galileo, descrivendo la faccia della luna « che non voglio tralasciare, perché l’ho osservata non senza un certo stupore, ed è che quasi al centro della luna si trova una cavità più grande di tutte le altre, di forma perfetta mente circolare. L’ho osservata nel primo e nell’ultimo quarto ed ho cercato di rappresentarla il più correttamente possibile nel secondo dei due disegni precedenti… » e così via. Il disegno di Galileo richiama l’at- tenzione di Keplero, uno dei primi a leggere il saggio di Galileo, che così lo commenta: «Non posso fare a meno di chiedermi quale sia il significato di quella vasta cavità circolare in quello che solitamente chiamo l’angolo sinistro della bocca. È opera della natura o di una mano addestrata? Supponiamo che esistano esseri viventi sulla luna (sulla scia di Pitagora e di Plutarco mi so- no trastullato con questa idea, tanto tempo fa…). È sicuramente conforme alla ragione credere che gli abitanti esprimano il carattere del luogo in cui vivono, luogo che ha montagne e valli molto più este se di quelle dell a terra. Di conseguenza, essendo dotati di corpi così massicci, essi costruiscono progetti giganteschi .. » e così via. « Ho osservato », « ho visto », « mi sono stupito », « non posso fare a meno di chiedermi », « mi è piaciuto »: così si parla a un amico o, quanto meno, a un essere umano vivente. L'orribile Newton, che più di ogni altro è respo nsabi l e di quel- la malattia del professionalismo di cui ancora oggi andiamo soffrendo, inizia il suo primo scritto sui colori con uno stile molto simile: « ... all'inizio dell'anno 1666... mi procurai un prisma di vetro triangolare, col quale provare i famosi fenomeni dei colori. A questo scopo dunque feci buio nella mia stanza e aprii una piccola cavità negli scuri della finestra per far passare una quantità adatta di luce solare; misi il mio prisma al suo ingresso, perché potesse essere rifratto sulla parete opposta. Fu all'inizio un divertimento molto piacevole vedere i colori vividi e intensi là prodotti, ma quand o, dopo un po', mi applicai a studiarli con più attenzione, fui sorpreso nel vederli assumere una forma oblunga... ». Val la pena di ricordare che questi resoconti si riferiscono alla natura inanimata, «inumana», fredda e oggettiva; riguardano stelle, prismi, la luna, eppure sono descritti nel modo pia vivace e affascinante, capace cli comunicare al lettore quell'interesse e quell'eccitazione che lo scopritore sentiva quando si stava avventurando in questi strani e nuovi mondi. Confrontiamo ora tutto questo con l'introduzione di un libro recen te, addirittura un bestseller, e cioè Human Sexual Response Masters e Johnson, 1966[trad.it. L'atto sessuale nell'uomo e nella donna, trad. Liuccia Marelli, 1967]. Ho scelto questo libro per due ragioni: primo, perché èdi interesse generale. Rimuove dei pregiudizi che influenzano non solo i membri di qualche professione, ma il comportamento quotidiano di parecchie persone apparentemente « normali ». In secondo luogo perché tratta un argomento nuovo, privo di una terminologia speciale. Dato poi che tratta dell’uomo, e non di pietre o prismi, ci aspetteremmo un inizio ancor più vivace e interessante di quello di Galileo, di Keplero, o di Newton. Che cosa leggiamo invece? Ecco, paziente lettore: «Se si considera quanto irriducibile è l'istinto riprodutti vo [pervicacious gonadal urge] degli esseri umani, è almeno curioso che la scienza sia tanto reticente soltanto quando si tratta di affrontare il problema cardinale della fisiologia del sesso. Forse questo evitare... » e così via. Non è più linguaggio umano, è il linguaggio di un esperto.

Si noti che il soggetto è stato completamente tralasciato; non « Fui molto sorpreso di trovare » o, dato che gli autori sono due, « fummo molto sorpresi », ma « è almeno curioso », il tutto poi espresso in termini pia complessi. Si noti poi in che misura termini tecnici irrilevanti penetrano nelle frasi e le riempiono di latrati, grugniti , squittii, mugolii; si erige un muro tra gli scritori e il lettore non per qualche mancanza di conoscenza, non perché gli scrittori non conoscano i loro lettori, ma per conciliare le enunciazioni con qualche curioso ideale professionale di oggettività. E questo idioma brutto, inarticolato e inumano compare ovunque, usurpando il posto della descrizione più semplice e più diretta.</mark> così a p. 72 leggiamo che la donna capace di orgasmo multiplo deve spesso masturbarsi, dopo che il partner si è ritirato, per completare il processo fisiologico a lei caratte ristico; smetterà è questo che gli autori vogliono dire, soltanto quando sarà stanca. Questo è quant o vogliono dire, ma in realtà si esprimono in questi termini:«in questi casi soltanto la stanchezza fisica pone termine alla masturbazione [alla active masturbatory session]. Non ci si masturba più; si ha una « attiva seduta masturbatoria ». Nella pagina seguente si consiglia all'uomo di chiedere alla donna che cosa voglia o meno, invece di cercare di indovinarlo. « Dovrebbe chiederglielo »: questa è l'idea che gli autori vogliono comunicare. Ma qual è invece l'espressione che sta realmente scritta nel libro? Sentite: « L'uomo sarà infinitamente più efficace se incoraggerà la vocalizzazione da parte della sua com-pagna » [encourages vocalization on her part]. « Incoraggia la vocalizzazione », invece di « le chiede »: forse, qualcuno vorrà obiettare, gli autori vogliono essere precisi e si rivolgono più ai membri della loro professione che al pubblico in generale e naturalmente devono usare un vocabolario speciale per farsi comprendere. Ora, per quanto riguarda il primo punto la precisione ricordiamo che essi dicono anche che l'uomo sarà « infinitamente più efficace» il che, date le circostanze, non è un'asserzione molto precisa dei fatti. Per quanto riguarda il secondo punto, dobbiamo considerare che non stiamo parlando della struttura di dati organi, o di particolari processi fisiologici che potrebbero avere un nome speciale in medicina, ma di una cosa del tutto comune come il chiedere. Inoltre, Galileo e Newton potevano fare a meno di un gergo speciale anche se la fisica del loro tempo era altamente specializzata e conteneva molti termini tecnici e lo potevano fare perché volevano cominciare da capo e erano sufficientemente liberi e pieni di iniziativa per essere in grado di dominare le parole, e non farsi dominare da esse. Masters e Johnson si trovano nella stessa posizione, ma non possono più parlare chiaramente, la loro capacità e la loro sensibilità linguistica sono state così distorte che ci si chiede se saranno mai in grado di parlare l'inglese comune. La risposta a questa domanda si trova in un piccolo pamphlet che ho qui con me e che contiene il resoconto di un comitato ad boe creato allo scopo di esaminare le voci circa le brutalità della polizia durante alcune inquiete settimane a Berkeley (inverno 1968/69). I membri del comitato erano tutte persone di buona volontà; si interessavano non soltanto della qualità accademica dellavitasulcampus,masiinteressavanoancorpiùallacreazione di un’atmosfera di comprensione e di cameratismo. La maggior parte di essi si occupava di sociologia o di studi affini, proveniva cioè da materie che non trattano lenti, sassi, stelle come nel caso di Galileo nel suo stupendo libretto ma esseri umani.

C’era anche un matematico tra di loro, che aveva dedicato parec- chio tempo alla formazione e alla difesa di corsi gestiti dagli stu- denti e che alla fine se ne andò disgustato: non poteva cambiare le « procedure accademiche acquisite ». Come scrivono queste de- gne persone? Come si rivolgono a coloro alla cui causa dedicano il loro tempo libero e la cui vita vogliono migliorare? Sono capaci di superare i confini del professionalismo almeno in questa occa- sione? Sono capaci di parlare? La risposta è no. Gli autori vogliono dire che i poliziotti spesso fanno degli arresti in occasioni in cui la gente non può fare a meno di infuriarsi. Essi dicono: « Quando l’i nsorg ere [arousal] dei presenti è la conseguenza inevitabile». «Ins orgere », «conseguenza ine- vitabile »: è gergo da laboratorio, è il linguaggio di gente che è abituata a trattar male topi, ratti, cani, conigli e registra scru - polosamente gli effetti delle proprie vessazioni; ma il linguaggio che usano abitualmente viene ora applicato ad essere umani, a persone, inoltre, con le quali simpatizzano, o dicono di simpatizzare e di cui sostengono gli scopi. Vogliono dire che raramente poliziotti e manifestanti parlano tra di loro e dicono « La comunicazione tra manifestanti e poliziotti non esiste ». Non i manifestanti, non la polizia, non le persone sono al centro dell ‘attenz io- ne, ma un processo astratto, la «comunicazione», sulla quale si sono imparate due o tre cose e con la quale ci si sente più a proprio agio che non con esseri umani viventi. Vogliono dire che più di 80 persone parteciparono all’azione e che il rapporto contiene gli elementi comuni di ciò che circa trenta di essi hanno scritto. così si esprimono: « Questo rapporto cerca di riflettere un con- senso da parte dei 30 rap orti sottoposti dagli 80 e più osserva- tori del corpo accademico che vi parteciparono ». Devo continuare? O non è già chiaro che gli effetti, i miserabili effetti del professionalismo sono molto più profo ndi e dannosi di quanto non ci si aspetterebbe a prima vista? Non è già chiaro come alcuni professionisti abi ano perso la capacità di parlare in modo civile, siano tornati a uno stato mentale più primitivo di quello di un ragazzo di 18 anni, che è almeno ancora in grado di adattare il proprio linguaggio alla situazione in cui si trova, e parla il gergo della fisica durante la lezione di fisica, ma usa un linguaggio molto differente quando parla coi suoi amici in strada (o a letto)?

Molti colleghi che sono d’accordo con la mia critica della scienza a livello generale trovano esagerata l’importanza che attribuisco al linguaggio. Il linguaggio, essi dicono, è uno strumento del pensiero, che non lo influenza nella misura da me ipotizzata. Questo è vero finché una persona ha vari linguaggi a propria disposizione ed è ancora in grado di passare dall’uno all’altro a seconda della situazione. Ma questo non è il nostro caso; qui un unico, e piuttosto misero, idioma si attribuisce tutte le funzioni e è usato in tutte le occasioni. Vogliamo insistere sul fatto che il pensiero nascosto dietro questa brutta facciata è rimasto dinamico e umano, oppure non dobbiamo piuttosto concordare con V. Klemperer ed altri che hanno analizzato il deterioramento del linguaggio nelle società fasciste, trovando che « le parole sono come piccole dosi di arsenico: vengono assorbite inavvertitamente, non sembrano avere effetti degni di nota e tuttavia l’influenza del veleno resterà per parecchio tempo. Se una persona sostituisce abbastanza frequentemente parole quali «eroico» e « virtuoso» con«fanatico»,alla fine arriverà a credere che senza fanatismo l’eroismo e la virtù sono impossibili» [DieUnbewaeltigte Sprache, Miinchen, Deutscher Taschenbuch Verlag, 1969, • 231]. Parimenti l’uso frequente di termini astratti tolti da discipline astratte (« comunicazione », « insorgere ») in argomenti che trattano esseri umani porterà la gente a credere che un uomo può essere dissolto in un processo indolore e che cose quali l’emozione e la comprensione non sono che elementi di disturbo, o meglio, concezioni errate appartenenti a uno stadio più primitivo dell a conoscenza.

Nella loro ricerca di un linguaggio standardizzato e amorfo, con ortografia e punteggiatura uniformi, con riferimenti standardizzati e così via, gli esperti vengono sempre più aiutati dagli editori. Quelle idiosincrasie dello stile e dell’espressione che possono essere sfuggite ad un arbitro, saranno certamente notate da chi stampa o cura il libro e si spreca molta energia per discutere di una frase o della posizione di una virgola. Pare che il linguaggio abbia cessato di appartenere agli scrittori e ai lettori e sia stato acquistato dalle case editrici, cosìcché non è più permesso agli autori di esprimersi nel modo che ritengono più appropriato e di dare il loro contributo alla crescita della lingua. Mi spiace dire che la University Of Minnesota Press, presso la quale verrà stampato il presente scritto, è una delle maggiori responsabili di questa situazione. Da parte mia ci penserò due volte prima di pubblicare qualche altro scritto presso questa casa.